Aspromonte e antiche tradizioni: le Palme di Bova

In questo giorno la Chiesa ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asinoosannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma (cfr. Gv 12,12-15). 
In ricordo di questo, a Bova (RC), viene celebrato un rito unico e spettacolare, da qualche anno riscoperto anche dal resto della penisola.

Un momento di collettiva sacralità popolare nel Parco Nazionale dell’Aspromonte che consiste nel portare in processione delle grandi figure femminili costruite con foglie di ulivo intrecciate da mani sapienti, abbellite con fiori freschi, primizie,  frutta fresca e nastri di vari colori; si fa a gara a chi addobba con frutta di fuori stagione, prodotta nel proprio podere e sapientemente curata fin a questo periodo,come a d esempio i fichidindia.

Sono conosciute con vari nomi, a secondo delle interpretazioni: “papazze” termine greco-calabro che indica le bambole e nel linguaggio dei pastori indica le capre senza corna; “persephoni” volendo alludere ad un collegamento con il mito greco e proporre un suggestivo legame tra presente e passato; “madammi” termine di origine francese che secondo alcune testimonianze veniva usato dai bovesi fin allo scorso secolo; o più semplicemente per i bovesi e soprattutto per i credenti “parmi” termine che in dialetto significa palme.

Da alcuni anni nelle settimane che precedono la Domenica delle Palme viene attivato un laboratorio per la costruzione delle palme che vede le famiglie bovesi direttamente impegnate a dare una mano quanti si sono avvicinati per la prima volta con spirito di collaborazione e voglia di riscoprire le tradizioni.

I contadini, intrecciando con maestria e pazienza, foglie di ulivo intorno ad un asse di canna detta “steddha”, costruiscono delle figure femminili, le cosiddette “parmi”.

Così la mattina della domenica delle Palme i possessori delle palme e non, si radunano  nella splendida Piazza Roma e in processione raggiungono il santuario di San Leo, dove vengono benedette e in seguito portate per le strette e tortuose vie di Bova, in una elegante e gioiosa sfilata di forme e colori fino alla Cattedrale dell'Isodìa.

Solo fino a qualche decennio fa le Palme venivano realizzate dalle singole famiglie che, spinte in una sorta di competitività, producevano figure sempre più grandi e decorate. Attualmente questo rituale viene svolto insieme da tutta la popolazione, qualificandosi come uno ei più interessanti momenti di aggregazione sociale dell’Area Grecanica.

Alla conclusione delle celebrazioni, le sculture, portate fino alla piazza , sono avvicinate dalla gente ed in parte smembrate delle loro componenti, le “steddhi”, che vengono distribuite tra gli astanti.

Alcuni collocano almeno una “steddha” benedetta su un albero di ogni singolo podere, dove vi rimarrà per tutto l’anno a testimoniare l’intimo rapporto sacro che unisce uomo e creato.

Altri fissano le trecce di ulivo sulla parete della camera da letto, altri sull’anta della cristalliera assieme ad immagini sante e alle foto dei propri familiari.

Infine, c’è chi utilizza le foglie benedette per “sfumicari” (togliere il malocchio) le case, compresi i suoi abitanti.
Questa parte del rito si celebra ponendo su una brace, ardente, tre grani di sale più quattro foglioline consacrate disposte a croce.
Si Incensano  gli ambienti con il fumo che che si innalza dalla brace, accompagnato dalla recita della seguente preghiera: “A menza a quattru cantuneri nci fu l’Arcangelu Gabrieli, dui occhi ti docchiaru, tri ti sanaru, lu Patri, lu Figghiu, lu Spiritu Santu. Tutti li mali mi vannu a mari e lu beni mi veni ccani. Lu nomu di San Petru e lu nomu di San Pascali, lu mali mi vai a mari lu beni mi veni ccani”.

I ramoscelli benedetti, anche se vecchi di un anno, conservano intatta la loro sacralità, come avviene per qualsiasi altra palma o ulivo benedetto, pertanto per disfarsene la gente non li butta nella spazzatura ma li incenerisce col fuoco.

Per un’intera mattinata il piccolo capoluogo dei Greci di Calabria vede sfilare dame eleganti, dall’aspetto austero ma allo stesso tempo fragile.
 

L’origine greca del rito

Non conosciamo l’origine del rito che probabilmente risale al culto delle popolazioni preistoriche che usavano evocare la “Madre Terra” con riti propiziatori dei raccolti e della fertilità: in tutta la cultura contadina del Sud Italia, ancora affiorano tracce di simili culti antichissimi.

Ma il rito che si ripete ciclicamente a Bova è speciale perchè le figure femminili, ci ricordano il mito greco di Persephone e di sua madre Demetra, dee dell’agricoltura.

Il mito racconta che Ade, signore dell’oltretomba, invaghitosi della fanciulla Persephone (Kore), la rapì portandola nel suo regno, dove le fu offerto con l’inganno di mangiare un melograno che l’avrebbe costretta a risiedere per sempre in quel luogo. Demetra reagì al rapimento della figlia impedendo la crescita delle messi e scatenando un inverno perenne, intervenne  Zeus che mise d’accordo Demetra e Ade e dal momento che la fanciulla aveva mangiato solo sei semi di melograno le fu permesso di ritornare sulla terra per sei mesi l’anno. Fu così che la dea trascorse sei mesi negli inferi e i restanti mesi sulla terra con la madre, portando son sé l’abbondanza della stagione primaverile.

Testimonianza di questi riti sono confermati dal ritrovamento di un reperto nel sito archeologico di Umbro, nel comune di Bova Marina. Si tratta di una piccola statuina in ceramica, databile al V millennio a.C., che in conformità all’estetica neolitica, sembra enfatizzare i caratteri femminili, al fine di collegare la fertilità della donna alla produttività dei campi, elementi fondamentali per la crescita dei primi agricoltori.
costruzione palma 1 

Questi ancora poco noti culti preistorici sembrano siano sopravvissuti nel corso dei secoli anche nei rituali pagani dell’antica Grecia, soprattutto nel mito di Demetra e della figlia Persephone, la cui venerazione è stata sia nella polis magno greca di Locri, sia nel sito archeologico di San Salvatore, nei campi di Bova, dove è stato rinvenuto un balsamario in ceramica raffigurante a Kore, databile tra il VI e il V secolo a.C..

Ma più semplicemente è un modo per celebrare tutto il creato, la bellezza della natura e ringraziare Dio per tutto questo, come faceva ad esempio San Francesco d’Assisi.

Il passaggio dall’inverno alla primavera, il ciclo della vita, alla fertilità e alla condizione nubile della donna ma anche il rapporto tra Bova e le campagne circostanti tutti riferimenti alle feste liturgiche del mondo ortodosso bizantino.

Riferimenti che possiamo confermare dal fatto che ci troviamo in Magna Grecia e che a Bova ancora oggi si parla la  “glossa greca”, ricca di vocaboli dorici, nella letteratura bovese sopravvivono figure mitologiche quali le “anaràde” (Nereidi), le”lamie”, e ancora “Sibille” e Madonne; a Bova è viva la bella usanza di offrire al santo protettore San Leo i germogli di grano votivo, cioè piatti colmi di grano germinato al buio,in una lettera indirizzata ai bovesi, San Luca, vescovo di Bova nel XII secolo, fa riferimento a dei riti che forse si possono leggere come simili a quello tutt’ora praticato, relazione tra le sculture vegetali di Bova con la rappresentazione della Quaresima in area di influenza bizantina (Kyrà Sarakostì) infatti In tutta l’attuale Grecia è raffigurata come una figura femminile spesso come una piccola bambola, in pasta di pane, con sette piedi che fungono da calendario liturgico per ciascuna settimana di digiuno, simile a quelle intagliate dai pastori dell’area greca di Calabria come nella tradizione culinaria, nel cosiddetto “musulupu”, particolare tipo di formaggio a forma di donna prodotto durante la Settimana Santa e consumato la mattina di Pasqua. Ma anche in alcuni dolci dette “ngute”, spesso raffiguranti donne decorate con uova sode, simbolo per eccellenza dell’abbondanza e delle rinascite.

steddha

Si può supporre pertanto una stratificazione della tradizione greco bizantina sul preesistente mito.

Tutto ciò ovviamente necessita di ulteriori e più approfondite indagini, ma quello che conta è che questo affascinante rito vada tutelato come patrimonio di Bova e di tutto l’Aspromonte, preservato per le sue implicazioni storico-culturali e, per la sua simbologia, proposto quale emblema del nostro rispetto e legame con la natura.


Quasi del tutto perduta, questa antica tradizione è stata ripresa un paio di anni addietro da alcune famiglie bovesi. Il rito è tuttavia alquanto sentito se il signor Mesiano Giuseppe, emigrato in Lombardia negli anni Cinquanta, realizzò la sua palma in casa e la portò a benedire nel duomo di Milano.

Ogni anno alla festa religiosa seguono gli eventi organizzati dal Comune di Bova:

 

 

Attraverso iniziative come la Domenica delle Palme si promuove non solo il recupero dell’identità storico culturale della Calabria greca ma anche il recupero architettonico dell’abitato in modo da dissuadere la gente ad abbandonare il borgo e piuttosto aiutarla ad investire per far nascere nuove piccole attività imprenditoriali turistiche e non solo.

Pasquale Callea

 Foto di Pasquale Callea


Riferimenti bibliografici: Dei e Zangrei a cura di P. Casile, 2005 

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